Angelo Caroselli (Roma, 1585 - 1652)
Cristo e l'adultera
olio su tela, cm 124x145
L’impressionante tela che qui si presenta segna il ritrovamento di un’opera che, pur essendo ben nota alla letteratura critica, era da decenni considerata in ubicazione ignota e irreperibile. Si tratta di un capolavoro che aggiunge un tassello importante alla nostra visione della scena artistica romana intorno al 1630, ossia di quella cruciale congiuntura che vede intrecciarsi, e non di rado coesistere, ultimi bagliori di caravaggismo, classicismi variamente temperati, tendenze “neo-venete” e albori del barocco.
Il nostro dipinto esprime al più alto livello la personalità artistica composita, prensile e multiforme di Angelo Caroselli. Tra la moltitudine di talenti che animavano il mondo artistico capitolino, egli occupa, in effetti, una posizione anomala e peculiare, sebbene non agevole da delineare (anche a causa degli esigui dati certi relativi alla sua biografia e alla sua opera), dove coabitano tradizione cinquecentesca e innovazione naturalista, aulicità e registro comico, convenzione ed eccentricità.
L’opera qui in oggetto vanta una secolare storia documentaria, che purtroppo non risale sino alla sua genesi. La sua più antica citazione si trova, infatti, nell’inventario di Flavio Chigi compilato nel 1692 dal pittore Francesco Corallo, dov’è accuratamente descritta e singolarmente attribuita a Massimo Stanzione: “Un quadro p.mi 6 e 5 (…) con prospettiva, e varie figure in piedi, con Christo, et una donna piangente, che rappresenta la Dultera, mano del Cavaliere Massimi”. Nel secolo scorso la grande tela fu opportunamente sottratta alla mano di Stanzione e riferita ad Aniello Falcone da Sergio Ortolani e di nuovo da Giuliano Briganti nell’inventario ereditario di Eleonora Chigi Incisa della Rocchetta da lui compilato nel 1962. Tali inziali confusioni attributive che situavano l’opera in ambito napoletano (che oggi potrebbe apparire errori marchiani) danno però conto indirettamente sia della robustezza naturalistica delle figure, sia dell’importanza conferita allo sviluppo monumentale dello sfondo. Infine, a partire da un saggio di Maurizio Marini e dalla prima edizione del repertorio della pittura caravaggesca di Benedict Nicholson, entrambi pubblicati nel 1979, il dipinto fu riconosciuto unanimemente come un caposaldo del corpus di Angelo Caroselli. Nel suo contributo, Marini propose tra l’altro di accostare l’articolato sfondo architettonico classico alla mano di Filippo Gagliardi: ipotesi che, pur non avendo trovato particolare seguito nella letteratura critica, ebbe il merito di sottolineare la partecipazione all’esecuzione della tela di un artista specializzato nell’invenzione prospettica e architettonica.
Nel dipinto è agevole riscontrare stringenti tangenze di stile con le principali opere di grande formato del pittore situabili fra la seconda metà del terzo e la fine del quarto decennio del Seicento: si pensi, per limitarsi a pochi esempi, al San Sebastiano curato da Irene, già coll. Koelliker e oggi presso Robilant e Voena, per il nudo maschile in primo piano; a Cristo e il centurione a Cafarnao, Bratislava, Galéria Mesta Bratislavy, per la sequenza di teste, in particolare quelle di Cristo e dei due apostoli ai suoi lati (sia pur di scala diversa); alla Predica di Cristo, di ubicazione ignota (già Christie’s Roma, 6 giugno 1995, l. 443), per la composizione fitta di personaggi schiacciati sul primo piano come in un fregio e le presenze architettoniche classiche sullo sfondo; e infine al Riposo durante la fuga in Egitto, Roma, Galleria Nazionale di Palazzo Barberini (anch’esso conservato nella collezione del cardinal Chigi, come attestato dallo stesso inventario del Corallo del 1692).
E’ evidente qui una profonda assimilazione della lezione di Caravaggio, che traspare in primo luogo dalla postura dei due mendicanti che introducono la scena occupando i due lati del primo piano, ispirate alle analoghe figure del Martirio di San Matteo di S. Luigi dei Francesi; ma anche da altre figure derivate più o meno letteralmente dalle Sette opere di misericordia del Pio Monte della Misericordia di Napoli e della Madonna del Rosario oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna (come ha messo in luce Marta Rossetti nella sua accurata monografia del pittore). Ma la nostra tela esprime in tutta la sua ampiezza la cultura figurativa di Caroselli: oltre al primario influsso Caravaggio, infatti, il Cristo e l’adultera mostra l’attenzione e le tangenze del pittore verso artisti caravaggeschi di prima e seconda generazione (Orazio Gentileschi, Borgianni, Cavarozzi, Cecco del Caravaggio, Paolini), ma anche i segni di un aggiornamento non superficiale sul classicismo di Nicolas Poussin. Di quest’ultimo, del resto, Caroselli fu brillante copista decisamente in tempo reale, come attesta la sua versione, con licenze, della Peste di Azoth che oggi si conserva presso la National Gallery di Londra. L’opera fu infatti eseguita a Roma al principio del 1631, commissionata per 35 scudi dal nobile palermitano Fabrizio Valguarnera, il quale si era assicurato per 110 scudi l’originale poussiniano (oggi conservato al Musée du Louvre) direttamente presso l’atelier del pittore. Una collocazione cronologica a ridosso di quest’ultimo impegno di Caroselli dovrebbe convenire anche alla nostra tela: ciò che, come effetto dello studio accurato e della potente suggestione del capolavoro di Poussin, contribuirebbe a spiegare il rilievo assegnato alla quinta architettonica classica (poco importa se eseguita da altra mano), del tutto inusitato nella produzione del pittore. La sequenza impressionante dei volti dei farisei che additano l’adultera a Cristo, pretendendone la condanna, i due nudi di scorcio dei mendicanti e la figura discinta della protagonista, che si consegna alla folla remissiva e penitente, s’impongono senza esitazione tra i brani più incisivi di tutto il catalogo di Caroselli, restituendoci un pittore di storia capace di soluzioni compositive autenticamente monumentali.
Provenienza:
Cardinale Flavio Chigi (1631-1693);
Collezione Chigi;
dal 1917, Eleonora Chigi Incisa della Rocchetta per lascito di Mario Chigi;
Asta Finarte Milano 18 aprile 1972, l. 12;
Collezione privata italiana.
Bibliografia specifica:
A.Ottani Cavina, voce Caroselli, Angelo, in DBI, Roma 1977, XX, p. 549;
M. Marini, San Pietro Nolasco trasportato dagli angeli: Bartolomeo Cavarozzi e Cecco del Caravaggio, in “Antologia di belle arti”, 9-12,1979, pp. 68-76;
B. Nicholson, The International Caravaggesque movement, Oxford, Phaidon Press, 1979, p. 41;
Id., Caravaggism in Europe, Ed. by L. Vertova, Torino, Allemandi, 1990, v. I, p. 95;
F. Petrucci, in La “schola” del Caravaggio. Dipinti dalla collezione Koelliker, cat. della mostra, a cura di G. Papi, Ariccia, Palazzo Chigi, 13 ottobre 2006-11 febbraio 2007, Milano, Skira, 2006, p. 26;
D. Semprebene, Angelo Caroselli 1585-1652. Un pittore irriverente, Roma, Gangemi, 2011, p. 112;
M. Rossetti, Angelo Caroselli 1585 – 1652 pittore romano. Copista, pasticheur, restauratore, conoscitore, Roma, Campisano, 2015, n. 56, pp. 336-340.
Per la sua importanza storico-artistica il dipinto è sottoposto a notifica da parte dello Stato Italiano.
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