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Lotto 51 - Asta 46

Vincenzo Meucci (Firenze, 1694 - 1766)
Venere e Adone

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Stato lotto:
Asta chiusa

Descrizione

Vincenzo Meucci (Firenze, 1694 - 1766)

Venere e Adone
Olio su tela, cm 298x178. Con cornice. In prima tela
Il dipinto è firmato e datato sul retro della tela "VIN:IO MEUCCI/F:/1721"

Il mito inscenato di questo dipinto è quello che vede protagonisti la dea più bella dell’Olimpo e lo splendido Adone, figlio di Cinira, re di Cipro, nato dall’unione incestuosa di questi con la figlia Mirra. Venere, come racconta Ovidio nelle Metamorfosi, punta da un dardo di Cupido, si innamorò perdutamente del giovane da condividere la stessa passione per la caccia, indossando vesti simili a Diana. Adone, ammonito inutilmente di stare lontano dai cinghiali, fu ferito mortalmente dall’animale e dal suo sangue caduto sulla terra sarebbero germogliati i profumatissimi anemoni, fiori dalla bellezza effimera – come quella del giovane – e così delicati che un lieve soffio ne può disperdere i petali.
In questa tela, la vicende ovidiana si arricchisce della presenza delle ninfe Oreadi, le tre compagne di Venere, che insieme alla dea piangono la morte del giovane mentre Cupido volteggia in alto, impugnando l’arco con cui scaglia le frecce foriere d’amore e di passioni folli. Questi sentimenti sono incarnati dalle due colombe che ignare del dramma tubano ai piedi del carro divino.
La tela, firmata e datata sul retro, fu dipinta nel 1721 da Vincenzo Meucci, artista fiorentino, formatosi alla scuola del pittore Sebastiano Galeotti. Come è stato suggerito, l’opera, priva di provenienza documentata, può essere identificata con la tela di analogo soggetto che il pittore inviò al suo protettore “per far conoscere i progressi delle sue fatiche”, il marchese Giovanni Battista Bartolini Salimbeni. Infatti, il nobiluomo ricevette il quadro come dono per aver provveduto ad inviare il pittore presso il suo primo maestro a Piacenza.
In questa tela emerge uno stile aggraziato dell’artista, di matrice accademica, fondato sulla conoscenza dei grandi maestri. Il quadro rivela inoltre dei caratteri comuni alla produzione di Gian Gioseffo del Sole che secondo le fonti fu maestro del Meucci per otto anni fino al 1719 e potrebbe far parte della prima produzione bolognese, oggi poco nota, che precede il soggiorno fiorentino. La variata cromia dei manti e l’azzurro intenso del mantello di Venere ricordano i preziosismi coloristici del fiorentino Cesare Dandini mentre il copro di Adone e le figuri femminili rivelano assonanze reniane, mediate dalla conoscenza dell’opera di Carlo Cignani, colui che a Bologna anticipò l’Arcadia figurativa settecentesca.
Niente si conosceva ad oggi della produzione del pittore precedente al 1726, anno in cui la famiglia del Meucci aveva valicato le mura della capitale del Granducato. Una volta a Firenze, infatti, Meucci si iscrisse all’Accademia del Disegno, dando inizio alla sua fortunata carriera di frescante, con rare incursioni nella pittura ad olio, tra cui si possono annoverare il dipinto qui presentato – un importante riferimento per indagare l’attività giovanile dell’artista – e una Maddalena penitente dipinta nel 1727 su commissione dell’Elettrice palatina Anna Maria Luisa de’ Medici.

Per la sua importanza storico-artistica il dipinto è sottoposto a notifica da parte dello Stato Italiano

Esposizioni
Il fasto e la ragione. Arte del Settecento a Firenze. Firenze, Galleria degli Uffizi, 30 maggio - 30 settembre 2009, n. 37

Bibliografia
Un capolavoro della pittura fiorentina. Venere e Adone di Vincenzo Meucci, a cura di M. Vezzosi, testo critico di C. Leonzi Iacomelli, Firenze 2003: S. Casciu, in La pincipessa saggia. L'eredità di Anna Maria Luisa de' Medici Elettrice palatina. Catalogo della mostra, Firenze 2006, p. 379;
C. Lenzi Iacomelli, in Il fasto e la ragione. Arte del Settecento a Firenze. Catalogo della mostra, Firenze 2009, pp. 142-143, n. 37;
S. Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del '600 e '700, Firenze 2009, I, p. 201, tav. XCIV;
C. Lenzi Iacomelli, Vincenzo Meucci (1694 - 1766), Firenze 2014, p. 173, scheda n. 1, p. 113, tav. I



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