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Lotto 313 - Asta 54

Lotto 313

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Un importante intaglio in zaffiro. Italia, Milano, 3° quarto del XVI° secolo. Crocefissione. Lo zaffiro, di un blu ... Leggi tutto

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Descrizione

Un importante intaglio in zaffiro. Italia, Milano, 3° quarto del XVI° secolo. Crocefissione. Lo zaffiro, di un blu profondo e dallo scavo raffinato, mostra il Cristo crocifisso, il quale si erge al centro della scena. La testa del Cristo è leggermente piegata in avanti e girata verso destra. Sulla cima del palo verticale della croce è affissa una targa rettangolare. Ai lati della scena centrale ci sono: sulla destra, la Vergine ammantata e velata, con le mani giunte in segno di preghiera, e, sulla sinistra, San Giovanni Evangelista, il quale indossa una veste fermata in vita da una cintura e un mantello. Innalza le mani verso il Cristo. Ai piedi della croce, un teschio, simbolo di memento mori (Calvario). Nell’intaglio è presente una linea di base.
Il corpo di Cristo si presenta finemente dettagliato, con uno scavo profondo in corrispondenza dei muscoli principali. Il linguaggio della scena del Calvario, come ce la descrive il Vangelo di S. Giovanni, è qui tradotto nel dialogo tra il Cristo morente, il suo apostolo prediletto e la Vergine.
L’incisione è stata condotta con eccezionale stile, mostrando una notevole competenza tecnica, specialmente se si considera la superficie ridotta su cui è stata eseguita e l’estrema durezza dello zaffiro.
La gemma, di un colore blu intenso, è esaltata dalle sfaccettature, che si trovano sia sul bordo, per incorniciare la superficie intagliata, sia sul retro. La scelta di intagliare questa iconografia dal significato pregnante proprio su uno zaffiro non è casuale, poiché solo ai più alti esponenti della gerarchia ecclesiastica era riconosciuto il diritto di indossare questa gemma. Considerato quando e dove l’intaglio è stato eseguito, e intraprendendo un approfondito studio delle fonti, combinato con quello della ritrattistica coeva, possiamo dire che è altamente probabile che questa gemma – senza dubbio originariamente montata in un anello d’oro – fosse il sigilo personale del Cardinale Arcivescovo Carlo Borromeo (1538-1584), figura chiave nell’ambito della Controriforma attuata dalla Chiesa Cattolica.
Nato da due importanti famiglie di banchieri lombardi (i Medici e i Conti di Arona), egli era da sempre destinato ad un ruolo di spicco all’interno della società lombarda. Poiché non era il maschio primogenito, il suo destino, in accordo con le tradizioni nobiliari dell’epoca, era quello ecclesiastico.
Nel 1545, quando aveva solo sette anni, egli ricevette la tonsura, gli abiti religiosi, ed il suo primo titolo ecclesiastico, che successivamente sarebbe stato seguito da molti altri. Dopo essere diventato dottore in diritto civile e canonico nel 1559, e a seguito all’elezione di suo zio, il Cardinale Angelo Medici, come Papa Pio VI, nello stesso anno, Carlo fu convocato a Roma, dove, nella Cappella Sistina, fu nominato vescovo dal Cardinale Giovanni Serbelloni. Solo tre settimane dopo suo zio lo nominò Cardinale. Nel 1564 venne ufficialmente nominato Arcivescovo di Milano e nel 1565 si trasferì là con un seguito di cento persone. A Milano, il suo compito fu quello di reggere una diocesi che comprendeva più 15 arcivescovati della Lombardia, Piemonte e Liguria. È più che probabile che in una di queste occasioni gli sia stato donato lo zaffiro blu, che era considerato prerogativa degli arcivescovi e dei più alti esponenti della Chiesa. Tali gemme erano la visibile prova della convinzione, diffusa all’epoca, ed espressa dal tedesco Andreas Jessner, secondo cui:
Bisognerebbe indossare uno zaffiro blu per rimanere a lungo in salute.
Che la castità sia rimasta nel tempo una questione di un certo peso si evince chiaramente dagli scritti dell’olandese Gerrit Janszoon Vossius (1577-1649), il quale scrisse:
Uno zaffiro, indossato in un anello o in qualsiasi altro modo, è in grado di spegnere la concupiscenza, e per questo motivo è appropriato che sia indossato dal sacerdote e da tutti coloro che hanno fatto voto di perpetua castità.
Borromeo è raffigurato con indosso proprio un anello del genere, con zaffiro, in un dipinto di Samaritana Samaritani, dipinto che si trova ora a Bologna, nella Galleria dove si trova la Collezione Poveri Vergognosi. Una seconda raffigurazione di Carlo Borromeo, eseguita da Ottavio Bizzozzero, e attualmente nella collezione d’arte dell’ Ospedale Maggiore di Milano, mostra, similmente, il prelato con indosso l’anello con lo zaffiro.
Arrivato a Roma, Borromeo aveva mostrato di amare la vita di società, la caccia, i banchetti, gli scacchi e la cultura umanistica. Tuttavia, in seguito alla morte improvvisa del fratello Federico nel 1562, Carlo optò per uno stile di vita decisamente più frugale e “cristiano”. Organizzò il Terzo Concilio di Trento (1562-63), che sancì questo austero stile di vita anche per gli altri che abbracciavano la vita religiosa. Istituì seminari e collegi (l’ Almo Collegio di Pavia esiste tutt’ora). Nel 1576, in seguito alla siccità e alla carestia, la peste scoppiò a Milano, e Borromeo spese tutto il proprio patrimonio per sfamare più di 60.000 disperati bisognosi. Curò personalmente i malati nei “Lazzaretti”, i luoghi in cui venivano relegati i malati di peste. Dopo la sua morte, nel 1584, Papa Clemente VIII beatificò, nel 1602. Il 1 novembre del 1610, Carlo Borromeo fu canonizzato da Papa Paolo V.


Riferimenti:
Per un prototipo bizantino antico: Papanikola-Bakirtzi, D., (ed.) Everyday Life in Byzantium. Athens, 2002.. p. 485, n. 659, 6th-7th c.
Per due prototipi Bizantini del medio period: Spier, J. Middle Byzantine (10th-13th century AD) stamp seals in semi-precious stone. p. 114- 126, n. 14-17 and 14-18 in: Entwistle, C. Through a Glass Brightly; Studies in Byzantine and Medieval Art and Archaeology Presented to David Buckton. London, 2003.
Quindi per fare esempi con paralleli contemporanei: Kris, E. Catalogue of the Postclassical Cameos in the Milton Weil Collection. Vienna, 1932..p. 14, pl. II, cameo, XIV c. (anche se una data posteriore non può essere esclusa a priori).
Kagan, J. and Neverov, O. Splendeurs des Collections de Catherine II de Russie. Paris, 2000. p. 154. n. 198/14. 2nd half of the XVI c. Dalton, O.M. Catalogue of the Engraved Gems of the Post-Classical Periods…British Museum. London, 1915. p. 81, pl. XX - n. 567. 17th c.



12.8 x 10x 5 mm; peso 6.9 carati

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